Scienza e tecnica al servizio della guerra

La volontà di ricercare gli intrecci tra ricerca scientifico-tecnologica e ambito militare ci ha portato a spulciare un documento delle Nazioni Unite (NATO) dal titolo: “Urban Operation 2020, Research & Technology Organization, Technical Report”. In questa versione (pubblicata nell’aprile del 2003) si indicano i principali filoni di ricerca che si reputano importanti per il miglioramento delle capacità tecnico-organizzative e della efficacia delle truppe in scenari di guerra del 2020. Sembra incredibile, ma il tutto parte da un’assunzione che ammette molte delle contraddizioni del sistema dominante. E’ infatti innegabile che il capitalismo e il neoliberismo stiano acuendo le disparità fra paesi ricchi e paesi poveri e all’interno degli stessi paesi fra pochi ricchi che detengono il potere e una massa crescente di persone che vive in condizioni disumane.

Gli scenari di guerra che la NATO si immagina, infatti, si situano in un contesto di guerra “asimmetrica”, ossia uno scontro fra un esercito organizzato, ben identificato e localizzato, e un altro invece senza divisa che si identifica con chiunque cerchi di mettere in discussione in maniera efficace e pericolosa aspetti scomodi di questa società (lavoratori/trici o studenti/esse in lotta, comitati a difesa del proprio territorio…), o con chi per necessità o difficili condizioni di vita si ribella allo status quo (migranti senza permesso di soggiorno, piccola criminalità nelle periferie…). In poche parole si stanno costruendo le strategie controinsurrezionali e antiterroristiche, in cui appunto il nemico è il popolo, delocalizzato e non facilmente scindibile dal personale cosiddetto “civile” o non combattente.

Vorremmo porre l’attenzione su quanto la ricerca scientifico-tecnologica sia fondamentale per lo sviluppo degli eserciti moderni. Nel documento stesso si indica come strada privilegiata quella della ricerca pubblica, piuttosto che quella facente direttamente riferimento ad organismi militari. Si prevede infatti che circa il 70% delle tecnologie che avranno maggior impatto nelle truppe di terra nel 2020 siano duali (ovvero abbiano applicazioni sia in ambito civile che militare) mentre solo il 30% siano prettamente militari. Appare evidente quindi l’importanza della ricerca “pubblica” proveniente dalle università per i piani di ammodernamento degli eserciti e dell’apparato repressivo e di controllo, e come spesso il finanziamento a progetti di ricerca per applicazioni civili nasconda un secondo utilizzo (quello militare). Proprio questa dualità della gran parte della ricerca scientifico-tecnologica rende complicato, se non impossibile, scindere le due fasi: quella per uso civile e quella per uso militare.

Dall’informatica alle nano/bio-tecnologie, passando per la robotica e i nuovi materiali, sembra che tutti gli ambiti di ricerca attuali siano di interesse strategico per le forze armate. Già questo dovrebbe farci riflettere sulla direzione in cui la ricerca sta andando. La direzione che prende la ricerca è decisa da organi sovranazionali e spesso collegati a doppio filo con quelli militari. Sono i finanziatori che decidono su cosa le università ricercheranno, siano essi pubblici o privati.

Sarà forse un caso che ultimamente le così dette tecnologie convergenti (nano e biotecnologie, informatica, neuroscienza, robotica) stanno quasi monopolizzando i finanziamenti a livello europeo e mondiale?

Basta fare due esempi: uno nostrano e uno americano, entrambi molto conosciuti. Uno è l’ I.I.T. (Istituto Italiano di Tecnologie) comparso nel 2003, l’altro è il ben noto M.I.T. (Massachussets Institute of Technology).

L’IIT è un istituto le cui ricerche principali si situano nell’ambito della robotica e delle neuroscienze, e dove la ricerca di base è portata avanti in stretta relazione con la ricerca tecnologica. Tra i partner di questo istituto c’è appunto il MIT, decennale istituto di tecnologia americano, molto rinomato in tutto il mondo per essersi accaparrato i migliori cervelli e milioni e milioni di dollari di investimenti. Nella sezione neuroscienze e scienze informatiche del portale dell’istituto (www.csail.mit.edu/node/1571) e nella sottosezione partnership, saltano agli occhi due collaborazioni (le prime due elencate) a dir poco sospette sulla buona fede di questi scienziati “supergeniali”: la collaborazione con il ministero della difesa americano e con la FOXCONN, azienda cinese di elettronica che serve anche la Apple, tristemente famosa per l’altissimo tasso di suicidi dei suoi dipendenti, stremati dalle condizioni di lavoro schiaviste cui sono sottoposti. Nell’approfondimento sulla collaborazione con il ministero della difesa si leggono poi alcune considerazioni agghiaccianti per essere scritte da persone reputate geniali nella nostra società:

il nostro obiettivo è di assicurare che i militari di oggi e di domani dispongano di tecnologie superiori ed affidabili a supportare le loro missioni, e di dar loro capacità di vittoria rivoluzionarie.

Quindi, non solo collaborano con i militari, ma se ne vantano pure! E contestualizzando gli scenari di guerra previsti, il ruolo della scienza e della ricerca, spesso senza la consapevolezza del singolo ricercatore, diventa sempre più preoccupante.