Dice il neutrino al bosone: non c’è interazione senza divulgazione.
Hot News in casa Iene Le Iene, sempre attuali quando si parla della diffidenza della società civile nella ricerca scientifica. Molto populismo, molta paura, paura, paura per la mancanza di rispetto da parte degli scienziati che, senza avvertire, portano sostanze radioattive nel sottosuolo di una regione altamente sismica.
Senza seguire la falsariga del servizio shock parliamo invece dell’iniziativa organizzata nel dipartimento di Fisica il 13 dicembre dal Collettivo di Fisica e che porta sulla cattedra degli imputati già assolti il Prof. Parisi, noto esponente della comunità scientifica Sapientina, il giornalista e professore Andrea Capocci e la puntalità divulgativa di Marco Vignati, professore e ricercatore che nel suo lavoro interseca le traiettorie della fisica dei neutrini.
Proprio Vignati ha aperto l’incontro con una dettagliata spiegazione degli scopi dell’esperimento e del quadro di necessità che comporta il trasporto di Cerio sotto al Gran Sasso, un elemento radioattivo che nel decadere produce neutrini. L’esperimento può essere meglio visionato sul sito ufficiale dei laboratori INFN.
Il secondo intervento che introduce all’annoso e discusso problema del rapporto tra scienza e società. Il noto professore di Fisica, Giorgio Parisi, avverte la platea sulle numerose incomprensioni che la scienza genera nei riguardi dei non addetti, appellati, con falsa ironia, come ignoranti: Le dissonanze si generano a partire dalla sospetta magia degli scienziati, e dei tecnici in generale, che si relazionano con eventi apparentemente senza correlazione e solleticano gli stessi sentimenti che suscitavano sciamani e giù di lì. Parla poi di falsa scientificità, di come nella storia recente alcuni temi abbiano cavalcato l’opinione pubblica senza basi concrete e con un relativo, minimo, consenso della comunità (si parla di teorie del gomblotto, di caso stamina, e di bufale sui vaccini qui); Si viene così a delineare nella popolazione la figura del ricercatore ordinario come un consociato della odiosa casta, come un connivente del potere dedito a trasformare il suo tempo in oro e giammai interessato alle sorti dell’umana specie, uno scienziato che porterebbe del Cerio radiaottivo sotto al Gran Sasso senza troppo curarsi dei valligiani. Ce ne potremmo quasi infischiare, consiglia Parisi, e proseguire con gli esperimenti ma ecco che fa capolino la questione chiave: la pecunia! Infatti i ricercatori è con i fondi pubblici che tengono su la baracca come lo stesso più volte c’ha ricordato con illustri incontri sulla mancanza di fondi nella ricerca. Un dialogo con le istituzioni è fuori di dubbio necessario, e allora? che fare? Come rendere la comunicazione possibile tra accademia e cittadinanza? Viene ora il turno della parola chiave dell’incontro: divulgazione!
Divulgazione, sembra non ce ne sia a sufficienza, sembra che i nostri interlocutori siano troppo ignari dei grandi benefici di cui la scienza è foriera, che una più massiccia opera di convincimento orale e scritto sarebbe una panacea per gli spontanei dubbi dei babbani scientifici. E’ il terzo speaker ad alzare il tiro, mostrando una slide con qualche decina di Festival di Scienza in giro per l’Italia e ricordandoci dell’infinito servigio alla scienza che la famiglia Angela ci offre in prima serata da quasi 20 anni. Insomma, a detta sua, di scienza in Italia se ne parla e anche bene!
Ma allora perché la popolazione non si fida? Partendo da quanto raccontato nel suo articolo sul manifesto il professor Capocci delinea con chiarezza il quadro di tensione e paura che porta la società civile a dissentire sulle bonarie affermazioni degli scienziati, sottolineando la difficoltà di accordarsi sul tema del rischio, che non può esser scientificamente zero e che è in alcun modo accettabile per gli ambientalisti.
Stasi. Chi la vince?
Sembra che sul caso SOX a trionfare saranno le norme, sarà l’implementazione di misure di sicurezza alla lettera della legge vigente ad assicurare la fattibilità del progetto. E i ricercatori conteranno i neutrini felici e contenti.
Ma ormai il coperchio è tolto e la platea vuol dire la sua. Gli interventi sono disparati, tutti di qualità, e intervallano critiche al sistema mediatico con appelli ad una nuova divulgazione, che scenda nelle piazze a parlare con i cittadini, col vago retrogusto di catechismo, che parta dalle scuole a costruire pensiero critico, che metta in dubbio i fallaci post su facebook guardando negli occhi il malcapitato ignorante.
Una platea che sembra dimenticarsi delle condizioni in cui versa la discussione politica nel paese, figuriamoci quella scientifica! Infatti, riprende qualcuno, in una società alla deriva dei populismi diviene necessario smentire i falsi tecnici (si allude al governo Monti) e allo stesso modo stare in guardia dagli ambientalisti d’interesse, che scambiano la volontà di un mondo in equilibrio con la natura con l’allarmismo del III millennio. Un ambientalismo che punta il dito al Cerio ma si dimentica delle testate nucleari in casa Nato, un ambientalismo che fa rima con terrore pre-elettorale.
Tutti d’accordo che la soluzione è l’istruzione, e ci mancherebbe! Una base scientifica su cui far attecchire il seme della divulgazione, che prepari le persone a pensare in maniera critica. Quella di una pedagogia liberatrice alla Freire è di certo la chiave ma sembra lontana dall’istituzione scolastica attuale, dove la formazione tecnica-specialistica spodesta in nome del posto di lavoro ogni alternativa umanista.
Un altro intervento ci ricorda che ci sono in realtà buone ragioni per diffidare della scienza, che non abbiamo solo cose buone come i vaccini, la cura per il cancro, la chemioterapia, gli psicofarmaci, la plastica, le bombe e le centrali nucleari, i satelliti, gli smartphone e le autostrade, ma anche altre meno buone come i disastri ambientali, il cyberwarfare, il controllo capillare e il marketing profilato, la sperimentazione animale, etc.. etc.. insomma che a ben guardare per fidarsi della comunità scientifica ci vuole coraggio, magari il coraggio di credere che sotto al Gran Sasso non si fa niente di male. Che la sfiducia non è solo ipotetica, ma è una sfiducia materiale, di esperienza, la sfiducia verso il genitore che punisce con lo schiaffo e dice è per il tuo bene. Una sfiducia basata su una assenza di benefici per la comunità da parte dell’accademia tutta, anzi di generale diffidenza nel migliore dei casi, di ricerca di guerra e dominazione nel peggiore.
Ma ecco che un’altra parola chiave si delinea sull’orizzonte degli interventi: con una frase ad effetto, anche essa travisata in 140 caratteri, si ricorda che la scienza non è democratica, Burioni dixit.
La scienza non è democratica vuol dire che dinanzi all’oggettività del metodo scientifico c’è poco da stare a commentare, che le opinioni lasciano il tempo che trovano come al terzo fischio dell’arbitro. Ma allora a che democrazia siamo interessati? Quello che ci interessa, dicono più voci della platea, è una scienza che si liberi del fardello del profitto (leggi capitalismo), che possa ricercare per il gusto stesso del sapere! Ma mentre l’arte for the art sake sembra quasi di capirla, nei dandy dell’altro secolo che fornicavano nell’alta società, una scienza per la scienza sembra invece dura da immaginare se H2020 stima 80 miliardi di euro di budget dal 2013 ad oggi. Sembra duro pensare che uno dei grandi motori dell’industria del dopoguerra in Europa possa uscire dai binari e seguire gli istinti umanisti dei ricercatori.
L’incontro si chiude così, con delle buone intenzioni, con una scienza più umana come sogno e una generale risata sul volto di Beppe Grillo. Sembra che l’accademia se la sia scampata anche questa volta, in fondo siamo tutti sulla stessa barca, oggi fermano il tuo, domani il mio, serve far critica ma anche difendere i torrioni dall’assalto populista. A quando una presa di posizione su ciò che avviene fuori?