Le tecnologie della repressione “Non datele ai regimi autoritari”

di Arturo di Corinto (da La Repubblica)

I governi autoritari di tutto il mondo usano tecnologie europee ed americane per spiare i propri cittadini. Tecnologie per le intercettazioni email e telefoniche, tecnologie per il riconoscimento facciale delle foto di manifestanti e dissidenti, tecnologie per il riconoscimento vocale sulle reti mobili, tecnologie che possono avere conseguenze mortali per gli attivisti dei diritti umani e civili.

E’ l’allarme lanciato dalla Electronic Frontier Foundation 1, associazione americana per i diritti digitali, che chiede alle imprese di assumersi la piena responsabilità degli usi che i governi fanno dei loro prodotti.l tema, salito alla ribalta dopo l’esaltazione della comunicazione digitale e dell’uso dei social network durante le insurrezioni arabe – che pure sono serviti a rintracciare e punire gli attivisti tunisini, libici, egiziani e siriani – è tornato di stretta attualità dopo la scoperta che aziende come la Narus (consociata della Boeing) l’americana Blue Coat Systems e l’italiana Area Spa avevano fornito alle dittature di quei paesi tecnologie di sorveglianza per reprimere i propri cittadini in cerca di democrazia. Per questo la EFF ha appena pubblicato un libro bianco dal titolo “Diritti umani e vendita di tecnologia”, in cui spiega come le aziende possono evitare di aiutare i regimi repressivi.

MANUALE DI AUTODIFESA DIGITALE 2

COME NASCONDERSI AI REGIMI AUTORITARI 3

Secondo la EFF, il primo passo per impedire l’uso repressivo di tecnologie che sono usate anche per scopi leciti, è quello di garantire la trasparenza sia nella produzione che nella vendita e sottolinea l’importanza della stampa nel disvelare i comportamenti irresponsabili delle aziende coinvolte. Riferendosi alle inchieste del Washington Post, la EFF cita il caso della Nokia che dopo le proteste per la vendita di tecnologie di sorveglianza all’Iran, ha ceduto la propria consociata, oggi Trovicor, che costruisce centri specializzati per la sorveglianza di massa, e quello della McAfee che ha rifiutato di vendere queste tecnologie al Pakistan.

Il problema è però che le tecnologie di sorveglianza vengono spesso sviluppate e vendute attraverso triangolazioni di terze parti ed è difficile per i giornalisti tenerne traccia. La Blue Coat, ad esempio ha riconosciuto che la Siria ha acquisito i suoi sistemi di filtro per il web senza sapere come e solo la confessione di due dirigenti anonimi ha disvelato che il Bahrain ha fatto ricorso ai software di Trovicor per trascrivere i messaggi scambiati tra i manifestanti antigovernativi. Perciò la EFF non solo chiede trasparenza alle imprese, ma si appella ai governi, alle commissioni d’inchiesta parlamentari, e alle entità sovranazionali, affinché indaghino e ascoltino formalmente le imprese coinvolte in questo tipo di traffico.

A tale proposito la EFF ha elaborato una sorta di vademecum per le “audizioni” chiedendo di applicare le regole esistenti per la prevenzione dell’esportazione illegali di armi e i metodi usuali di lotta alla corruzione, certificando i venditori. A cui va chiesto esplicitamente di evitare rapporti commerciali con governi ed entità che possono usarle per violare i diritti umani, meglio se volontariamente, come hanno fatto sia la Nokia che Websense, ma anche intervenendo a livello legislativo. Come ha deciso il parlamento degli Stati Uniti che, preso atto del problema, ha incaricato una sottocommissione della Camera per redigere il Global Online Freedom Act (GOFA), una legge per limitare l’esportazione di tecnologie che “servono allo scopo primario” di sorvegliare o censurare i cittadini nei paesi nemici di Internet.

Il Parlamento Europeo invece, già dal 27 settembre ha approvato una risoluzione 4 che impone alle imprese europee autorizzazioni più severe per esportare in India, Russia, Cina e Turchia “tecnologie di telecomunicazioni che possono essere utilizzate in relazione ad una violazione dei diritti umani, dei principi democratici o della libertà di espressione”.

Se la vigilanza degli attivisti per prevenire gli abusi è importante – gli egiziani hanno denunciato che il loro governo usava tecnologie inglesi per intercettare le chiamate via Skype – il ruolo delle aziende rimane cruciale. Infatti quasi tutte le tecnologie di sorveglianza sono usate anche per scopi legittimi, si parla di “dual use” come la sicurezza e la protezione da attacchi informatici, l’applicazione e il rispetto delle leggi e altri usi che hanno lo scopo di proteggere i cittadini. Ma proprio per questo, nei negoziati con il Consiglio, i deputati europei hanno ottenuto che nessuna autorizzazione generica all’esportazione può essere accordata per le tecnologie a “duplice uso” che potrebbero essere impiegate per scopi che violano i diritti umani. EFF chiede pertanto che diventi trasparente il prpcesso di commercializzazione delle tecnologie dual use.

E la libertà d’impresa? I profitti, i lavoratori? Che ne sarà delle commesse? Tanto per cominciare, spiegano alla EFF, i profitti arrivano comunque. Ci sono aziende come la Websense, che prosperano pur avendo messo in atto programmi di prevenzione affinché le loro sofisticate tecnologie non siano usate nella violazione dei diritti umani e poi, di fronte al diritto alla vita e alla libertà è ora di immaginare un nuovo tipo di responsabilità sociale per le imprese.

Intanto Anonymous, che non nutre molta fiducia nell’etica aziendale, ha diffuso l’Anonymous Care Package, un file .zip contenente tutti i trucchi per non farsi beccare in rete insieme a due manuali per limitare i danni di incontri sfortunati con gli apparati di polizia: uno per rendersi irriconoscibili nelle piazze delle proteste pur continuando a comunicare via tablet e cellulare,  l’altro di pronto soccorso.