La logica dell’ EMERGENZA ha caratterizzato le scelte governative degli ultimi anni, garantendo la permanenza di politiche atte a salvaguardare l’appropriazione privata del profitto e ad imporre la socializzazione dei costi: dall’accordo Fornero sulla produttività, ai tagli all’istruzione pubblica e alla sanità o, più in generale, alla svendita di territori e servizi.
In questo quadro la cosiddetta green economy ha assunto un ruolo fondamentale: presentata come la nuova frontiera di investimento con cui creare occupazione e spacciata come sinonimo di “sviluppo eco-sostenibile”, nei fatti permette proficui investimenti e guadagni per pochi, ma a prezzo della mercificazione e sfruttamento dei territori e delle nostre vite, tanto quanto le vecchie fonti fossili. In tempi non sospetti, l’introduzione della parola magica “fonti assimilate“, nei decreti che regolano l’erogazione di incentivi statali agli impianti di produzione energetica, permise un fiorire di investimenti nel settore dell’incenerimento dei rifiuti. Il gioco è semplice, stando alla legge si possono considerare come fonti rinnovabili i rifiuti urbani e gli scarti industriali! E il fortunato che riesce ad accaparrarsi una bella balla di rifiuti, spesso tossici, può – usufruendo di incentivi di ogni genere – produrre energia bruciandoli e rivendersela come energia “pulita” a un prezzo ben più alto di quella prodotta con le fonti tradizionali, come il carbone o il petrolio. E il sovrapprezzo chi lo paga? Non c’è ombra di dubbio, tocca al consumatore’
Tutto ciò ha dato origine ad una spirale speculativa: la monnezza non viene differenziata, ma trattata tutta assieme. Si separano industrialmente i metalli e ciò che resta viene diviso in secco, bruciato negli inceneritori, ed umido, prima sottoposto a digestione anaerobica, dalla quale si ottiene un combustibile gassoso detto “biogas“, e in seguito gettato in discarica. Questo processo, oltre ad essere estremamente dispendioso ed estremamente dannoso per la collettività, è un vero spreco dal punto di vista energetico.
A Roma, diversamente da quanto è successo a Napoli e dintorni, la situazione d’emergenza sembra non esserci, perché non è percepita: anzichè trovare cassonetti strabordanti in centro, con la conseguente indignazione del buon cittadino, si è spostato il problema nella periferia, dove sorge Malagrotta, la discarica più grande d’Europa, e nel resto del Lazio, dove si vanno costruendo piccoli e grandi inceneritori di accompagnamento a piccole e grandi discariche. Ma l’immondizia che approda in provincia è quella di Roma, siamo dunque chiamati direttamente in causa, anche se le discariche non sorgeranno dietro casa nostra.
Ovunque nel Lazio, e non solo, stanno sorgendo movimenti popolari che si oppongono a questa devastante gestione dei rifiuti e, se non vogliamo trovarci seppelliti da montagne di monnezza, è necessario attivarci tutti e tutte.
Come studenti e ricercatori di una facoltà scientifica ci sentiamo tirati in causa in quanto la scelta di una determinata strategia industriale nel trattamento dei rifiuti è strettamente legata allo sviluppo di tecnologie.
In questo modello di sviluppo infatti, è molto più probabile che vengano elargiti fondi per la ricerca di nuovi filtri per inceneritori, piuttosto che per l’ideazione di metodi di riciclaggio più efficienti, naturalmente camuffando il tutto in modo da non destare troppi sconvolgimenti nella coscienza dello studente/ricercatore. Questo fenomeno storico di indirizzamento della ricerca si accompagna alla crescente partecipazione, ormai neanche più celata, dei privati nei nostri atenei: dal finanziamento della sola ricerca capace di portare profitto, alla pubblicità di ogni genere di prodotto invasiva e quotidiana, passando per gli incontri tra università e la Federlazio-Ambiente di Manlio Cerroni (il monopolista dei rifiuti del Lazio), i reclutamenti di Unilever nel dipartimento di Chimica e l’apertura di un corso di laurea in cyber war (nuova frontiera degli armamenti mondiali) all’università La Sapienza.
Quindi abbiamo deciso di organizzare all’università, nella Facoltà di Fisica, un ciclo di incontri sul tema dei rifiuti, dalla produzione allo smaltimento, con un occhio attento alle nocività prodotte, all’impatto ambientale degli impianti e alle prospettive di riduzione della produzione industriale e di diverso riutilizzo delle risorse. In questo quadro preoccupante sentiamo il bisogno urgente di sviluppare dei saperi e una tecnica che siano nostri, che si differenzino e che siano autonomi, frutto di una cooperazione sociale più che di una corsa solitaria e disperata per fare carriera. Una scienza che non sia succube dei poteri economici e politici, ma che sia invece immediatamente utile nelle nostre vite e pronta per essere utilizzata in modo conflittuale nelle lotte che portiamo avanti.
Come è successo in Val di Susa al movimento No Tav, crediamo che iniziare l’analisi dei problemi ambientali da un punto di vista tecnico, possa essere un punto di partenza per una critica al sistema di sviluppo capitalistico e un’importante arma per dare legittimità alle pratiche che i movimenti contro le nocività portano avanti. Infatti siamo convinti che dobbiamo sì elaborare e padroneggiare saperi, in particolare un sapere scientifico, in modo diverso da quello proposto dall’istituzione universitaria, che ci vuole solo tecnici, meri esecutori di una piccola parte di un tutto che non ci è dato sapere, ma anche riappropriarci dei mezzi della controparte ed essere in grado di riutilizzarli per i nostri fini.
Infine, dal momento che lo studente vive nel tessuto metropolitano, crediamo non possa esimersi dall’analizzare le contraddizioni su cui inciampa quotidianamente, in termini più generali: lo studio, il lavoro, gli affitti esorbitanti e non ultima la monnezza accumulata sotto casa. Non è così che si esaurisce il discorso ma ciò che ci preme sottolineare è la necessaria presa di coscienza sulla gravità degli attacchi speculativi alle risorse naturali cui assistiamo ogni giorno.
Il problema è complesso, ha aspetti scientifici, tecnici, legali, medici, ma anche sociali ed economici. E’ essenziale approfondirne la conoscenza per comprendere il proprio ruolo nei processi in corso.
L’università, in questo senso, non può più essere intesa esclusivamente come un ecosistema a sé stante (o isola felice), fatto di esoneri ed appelli, ma come un territorio complesso in cui vengono messe in connessione diverse soggettività in lotta: da chi ha accesso ai saperi, chi nell’ateneo raccoglie quotidianamente la nostra monnezza, in condizioni di sfruttamento garantite dalla mafia dell’esternalizzazione dei servizi, a chi nei territori si ritrova quei cumuli di monnezza. Ed in quest’ottica sono stati pensati questi incontri, come stimolo per riattivare legami che consideriamo fondamentali.
Ci auspichiamo quindi che l’università possa tornare a essere un luogo in cui ricomporre la disgregazione sociale e lavorativa determinata dalla ristrutturazione del sistema economico capitalistico. Ricomposizione intesa come definizione di un punto di vista altro, antagonista, che elimini le distanze tra soggetto studentesco e territorio in lotta, ricongiungendoli verso un obiettivo comune. Quindi non solo sensibilizzazione, ma anche presa di coscienza ed azione.
PROGRAMMA DEGLI INCONTRI:
* Giovedì 11 Aprile: “Discariche ed impianti TMB” (Aldo Garofolo – chimico, Renato Sabelli – chimico)
* Martedì 23 Aprile: “Inceneritori di rifiuti” (Patrizia Gentilini – Isde Medici per l’ambiente, Enrico Marascialli – ingegnere)
* Martedì 7 Maggio: “Biomasse e biogas” (Claudio Passantino – biotecnologo, Gianni Tamino – biologo Isde)
* Giovedì 23 Maggio: “Prospettive di riduzione, riuso e riciclo. Lotte territoriali, stato delle cose e prospettive” (dibattito aperto con i tecnici dei comitati laziali contro nocività e devastazioni ambientali)
Interessantissima visione che colma il sentito distacco fra lo studio e la vita ho avuto modo di conoscere alcuni di voi e ne sono felice, parteciperò per quanto mi sarà possibile agli eventi che avete in calendario. Grazie